Nel Sahara sono state coperte delle mummie | Sembrano umani, ma il DNA dice il contrario: di che civiltà si tratta?
Questa scoperta è eccezionale, e lo studio del DNA rivela informazioni davvero uniche. Ma di cosa si tratta?
Le mummie sono uno dei ritrovamenti archeologici più affascinanti e misteriosi della storia. Quando pensiamo a una mummia, ci vengono subito in mente i faraoni egizi avvolti in bende, ma il fenomeno è molto più ampio e antico.
La scoperta delle mummie ha rivoluzionato lo studio delle antiche civiltà. Grazie a esse, possiamo osservare non solo i volti di persone vissute migliaia di anni fa, ma anche i loro abiti, tatuaggi, malattie e perfino le cause della morte. Ogni corpo conservato racconta una storia personale e collettiva.
Non tutte le mummie sono state intenzionalmente mummificate. In alcuni casi è stata la natura a fare il lavoro: freddo estremo, aria secca o terreni acidi possono rallentare la decomposizione, creando mummie “naturali” come quelle delle paludi del Nord Europa o delle Ande sudamericane.
Ogni nuova scoperta è un tuffo nel passato: dalla mummia di Ötzi, l’uomo del Similaun, a quelle di bambini sacrificati sulle montagne peruviane. Studiare le mummie non è solo una questione di curiosità: ci aiuta a capire chi eravamo, come vivevamo e che tracce abbiamo lasciato dietro di noi.
Un Sahara che non ti aspetti
C’è un’immagine che viene spontanea quando si pensa al Sahara: dune infinite, caldo torrido e silenzio assoluto. Eppure, in tempi antichi, quel deserto oggi ostile era tutto un altro mondo. Tra i 14.500 e i 5.000 anni fa circa, il Sahara era una distesa verdissima, piena di corsi d’acqua, laghetti e vegetazione. Una di queste grotte si trova nel sud della Libia e si chiama Takarkori.
Non è la prima volta che regala sorprese, ma stavolta ha lasciato gli studiosi a bocca aperta. All’interno del riparo, protetti da condizioni ambientali quasi perfette, sono stati ritrovati due corpi mummificati in maniera naturale, appartenenti a due donne vissute circa 7.000 anni fa. Il clima secco e il riparo dalla luce e dagli agenti atmosferici hanno permesso di conservare in modo eccezionale non solo i resti scheletrici, ma anche il loro DNA (Fonte: Max Planck Institute).
Un DNA fuori dal comune
Il DNA estratto da queste due mummie, analizzato dal Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, in collaborazione con diverse università africane ed europee, ha rivelato qualcosa di davvero inaspettato: queste donne appartenevano a un lignaggio genetico nordafricano isolato da decine di migliaia di anni. Si stima che la separazione da altri gruppi africani, in particolare quelli dell’Africa subsahariana, sia avvenuta addirittura 50.000 anni fa.
Un isolamento così prolungato è qualcosa di raro, e suggerisce che in Nord Africa si siano sviluppate linee genetiche uniche, magari protette da barriere ambientali o culturali. I risultati genetici, inoltre, hanno mostrato un collegamento diretto con gli antichi cacciatori-raccoglitori della grotta di Taforalt, in Marocco, vissuti circa 15.000 anni fa. Si trattava, con tutta probabilità, di una popolazione “antenata” comune che si era diffusa in tutto il Nord Africa molto prima che il Sahara diventasse inabitabile (per noi).