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Intelligenza artificiale e vecchi satelliti spia USA rivelano 4 siti archeologici perduti in Iraq

Ora si può scavare nel passato in modo più approfondito, grazie soprattutto all’AI: i siti nascosti non avranno più segreti.

La piana alluvionale della Mesopotamia, a ovest di Baghdad, non è più quella di un tempo. Negli ultimi cinquant’anni l’agricoltura intensiva, i canali artificiali e l’espansione urbana hanno trasformato il paesaggio al punto che molti antichi insediamenti sono scomparsi quasi del tutto. Eppure, un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna ha trovato il modo di “vedere” oltre il presente, riportando alla luce tracce di siti ormai invisibili. La chiave è stata un vecchio tesoro tecnologico: le immagini satellitari in bianco e nero del programma CORONA, scattate tra il 1960 e il 1972, e un modello di deep learning capace di leggere quelle foto con occhi nuovi.

Questa combinazione tra intelligenza artificiale e dati storici ha prodotto risultati sorprendenti. Il sistema, inizialmente addestrato su immagini moderne di Bing, è stato riqualificato con i dati CORONA e una procedura di “due stage fine-tuning”, spingendo l’accuratezza fino al 90% e migliorando l’Intersection-over-Union oltre l’85%. 

Dietro questa impresa c’è anche un motivo urgente: salvare la memoria di luoghi che stanno sparendo. Durante le ricognizioni sul campo tra il 2023 e il 2024, il team ha scoperto che il 38% dei siti conosciuti era già stato completamente distrutto, un altro 23% aveva perso più della metà della superficie originaria e solo il 38% conservava una porzione significativa del proprio perimetro. Senza le vecchie foto satellitari, una parte enorme del patrimonio mesopotamico sarebbe andata persa per sempre.

Il progetto dimostra quanto sia cruciale unire le competenze umane e quelle artificiali. L’AI non sostituisce gli archeologi, ma offre una lente in più: genera mappe di calore, individua anomalie e propone nuove aree da esplorare. Gli esperti, con la loro esperienza e conoscenza del territorio, hanno poi il compito di verificare e interpretare ogni segnale. In questo modo, la tecnologia diventa una sorta di “radar” del passato, capace di suggerire dove scavare prima che il tempo cancelli ogni traccia.

Un laboratorio di immagini storiche e reti neurali

Il cuore della ricerca è un modello di deep learning basato su una rete MANet, capace di segmentare immagini ad alta risoluzione e di individuare schemi complessi. Dopo l’addestramento su immagini Bing, i ricercatori hanno applicato il transfer learning ai dati CORONA, combinandoli in tre configurazioni: solo Bing, solo CORONA e una modalità mista. Questa scelta non è casuale: le foto CORONA, realizzate dai satelliti spia statunitensi negli anni Sessanta, offrono una visione del paesaggio prima delle grandi trasformazioni moderne. Il dataset finale comprendeva 208 immagini, di cui 88 con evidenti tell (i caratteristici rilievi artificiali creati da secoli di abitazione) e 120 prive di tracce archeologiche. Per evitare problemi di sovra-allenamento, ogni immagine è stata “moltiplicata” con rotazioni, filtri e modifiche di luminosità, creando un archivio molto più vario.

Il modello è stato quindi riqualificato in due fasi: prima bloccando i pesi degli strati profondi per concentrarsi sulla segmentazione, poi riattivandoli a un ritmo più lento. Questa strategia ha reso la rete più flessibile e precisa, come dimostrano i test con metriche come IoU, bIoU e MCC.I risultati parlano chiaro. I modelli basati su CORONA, sia singoli sia combinati con Bing, hanno superato l’85% di IoU e toccato il 90% di accuratezza nel riconoscimento dei siti, migliorando sensibilmente le prestazioni rispetto agli esperimenti precedenti, che si fermavano intorno all’80%. La versione mista BingCORONA_BingCORONA è stata la più performante, producendo mappe di calore estremamente affidabili. Queste mappe, passate agli archeologi, hanno guidato le ricognizioni sul terreno, permettendo di scoprire quattro nuovi siti, identificati come GHR.036, GHR.077, GHR.078 e GHR.079, e confermati con il ritrovamento di frammenti ceramici nonostante la distruzione quasi totale delle strutture.

Illustrazione di alcuni siti della Mesopotamia (Pistola et al., 2025 FOTO) – buildingcue.it

Un paesaggio che scompare, ma non del tutto

Le campagne di scavo e ricognizione hanno rivelato l’entità delle perdite: su 81 siti confermati, 31 erano stati cancellati, 19 fortemente danneggiati e 31 solo parzialmente intatti. Senza l’occhio storico del CORONA, tra il 40 e il 55% di questi luoghi non sarebbe stato nemmeno individuabile sulle mappe moderne. La possibilità di sovrapporre vecchie e nuove immagini ha permesso di distinguere tra paesaggi originari e trasformazioni recenti, un aspetto cruciale per ricostruire l’evoluzione dell’insediamento nella Mesopotamia centrale.

Questo metodo, pur innovativo, non sostituisce il lavoro umano. Gli archeologi restano i decisori finali, responsabili di validare i dati e interpretare il contesto. L’AI agisce come uno strumento di amplificazione: segnala indizi, evidenzia differenze, accelera l’analisi di grandi quantità di immagini. Gli autori sottolineano che l’approccio potrebbe essere esteso, in futuro, a siti non rialzati, sebbene la mancanza di forme ricorrenti e di dataset annotati renda oggi questa sfida complessa.

Published by
Mattia Paparo