Insediamenti umani su Marte: le bioplastiche da alghe aprono la strada a habitat autosufficienti

Tra qualche tempo sarà possibile coltivare su Marte, e i primi insediamenti avranno luogo. E il tutto grazie alle bioplastiche.

Pensare di costruire una casa su Marte non è più una fantasia da romanzi di fantascienza. Eppure, l’idea di spedire tonnellate di materiali da costruzione nello spazio resta un ostacolo enorme, sia in termini economici che logistici. Per ovviare a questo problema, un team di ricercatori della Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences ha pensato: e se invece ci affidassimo alla biologia?

L’esperimento condotto da Robin Wordsworth e colleghi ha dimostrato che è possibile coltivare alghe all’interno di strutture stampate in 3D fatte con bioplastica… derivata proprio dalle alghe. Un ciclo che si alimenta da solo, quasi come se l’habitat fosse vivo, in grado di rigenerarsi e crescere nel tempo. Un’idea che unisce sostenibilità, efficienza e un tocco di eleganza scientifica.

Il cuore di questo sistema è un’alga verde chiamata Dunaliella tertiolecta, che ha mostrato di saper prosperare anche in condizioni ambientali simili a quelle di Marte: bassa pressione, atmosfera ricca di CO₂ e temperature controllate. Le alghe venivano coltivate all’interno di piccoli rifugi fatti di acido polilattico (PLA), un biopolimero trasparente alla luce ma capace di schermare i raggi UV.

Il progetto si inserisce in una nuova visione dell’esplorazione spaziale, dove non è più necessario importare tutto dalla Terra. Invece, si punta su un sistema chiuso, rigenerativo, dove ciò che cresce serve anche a costruire. È una logica simile a quella di un ecosistema terrestre, solo che qui si parla di un ecosistema che, in teoria, potrebbe funzionare su Marte. E questa, francamente, è una notizia che fa riflettere.

Una serra marziana in miniatura

Per testare l’idea, i ricercatori hanno costruito una camera ambientale che simulava l’atmosfera di Marte: pressione intorno a 600 pascal, CO₂ al 98% e luce artificiale dosata per la fotosintesi. All’interno, una piccola cupola in PLA da 1 mm di spessore, stampata in 3D e poi sigillata con cera e resina naturale. L’ambiente riusciva a trattenere acqua liquida nonostante la bassa pressione esterna, creando così uno spazio ideale per far crescere le alghe.

Le alghe hanno prosperato. Con un ciclo giorno-notte simulato, Dunaliella tertiolecta ha mostrato una crescita simile a quella osservata in condizioni terrestri. I livelli di ossigeno e anidride carbonica sono stati monitorati costantemente, e i dati hanno confermato un’attività fotosintetica regolare. Anche la permeabilità delle pareti al CO₂ è risultata funzionale: la plastica lasciava passare abbastanza gas da mantenere l’equilibrio interno, senza però disperdere troppa acqua. In breve: le condizioni erano più che vivibili… almeno per le alghe.

Illustrazione semplificata del processo (Robin Wordsworth et al., 2025 FOTO) – buildingcue.it

Una costruzione…possibile!

Il PLA usato per le cupole non è un materiale qualunque: si può ottenere da zuccheri prodotti dalle stesse alghe, fermentati da batteri come il Lactobacillus e poi polimerizzati in presenza di catalizzatori. Un processo realizzabile, almeno in teoria, interamente in loco. Anche la temperatura, altro problema dei climi spaziali estremi, potrebbe essere regolata con materiali biologici come aerogel di nanocellulosa, capaci di trattenere calore senza bisogno di energia esterna.

I calcoli mostrano che una produzione continua di bioplastica potrebbe, nel tempo, permettere l’espansione autonoma delle strutture abitative. Con un’efficienza di conversione del 20%, si potrebbe ottenere una crescita esponenziale dell’area abitabile in meno di due decenni. Un sistema del genere non solo è autosufficiente, ma anche altamente riciclabile: i materiali degradati tornano nutrienti, e nulla viene sprecato. Un esempio concreto di come la biologia, anche nello spazio, possa diventare architettura.

Published by
Mattia Paparo