I materiali da costruzione possono assorbire CO₂ anziché emetterla?

Illustrazione di materiali che assorbono CO2 (Canva FOTO) - buildingcue.it
La CO2 è sempre stata problematica, soprattutto quando parliamo di emissioni. Eppure, alcuni materiali potrebbero assorbirla.
Immaginare un futuro in cui il cemento e il calcestruzzo non solo non emettono CO₂, ma la catturano e la trasformano in qualcosa di utile, sembra quasi fantascienza. Eppure, nei laboratori della Northwestern University, questo scenario sta prendendo forma concreta. Un gruppo di ricercatori è riuscito a sviluppare un materiale da costruzione “carbon-negative”, cioè capace di intrappolare anidride carbonica in modo permanente, trasformandola in minerali solidi e durevoli. Questi minerali non finiscono in un deposito sotterraneo lontano dagli occhi, ma diventano ingredienti per cemento, gesso, vernici e, più in generale, per un’edilizia più sostenibile.
Il punto di partenza è semplice a dirsi: usare acqua di mare, elettricità e CO₂. Dietro questa idea, però, c’è un lavoro scientifico di anni, che unisce competenze di ingegneria civile, chimica e scienza dei materiali. Invece di limitarsi a stoccare l’anidride carbonica nel sottosuolo, un metodo comunque utile, ma che non sfrutta a pieno il potenziale della CO₂, il team ha pensato di darle un “secondo impiego”, trasformandola in materia prima per l’edilizia.
Uno degli aspetti affascinanti del processo è la sua doppia utilità: oltre a produrre materiali da costruzione, genera anche idrogeno, un combustibile pulito con applicazioni che vanno dai trasporti all’industria. E, a differenza dell’estrazione di sabbia da fiumi o coste (un’attività con impatti ambientali pesanti), qui i “granuli” vengono fatti crescere direttamente in acqua di mare grazie a reazioni controllate, evitando di intaccare ecosistemi fragili.
Questo lavoro, pubblicato su Advanced Sustainable Systems, è frutto di una collaborazione tra la Northwestern University e Cemex, colosso globale dei materiali da costruzione. Dietro i dati e i grafici c’è anche un’ispirazione naturale: il meccanismo ricorda il modo in cui coralli e molluschi formano le proprie conchiglie, solo che al posto dell’energia biologica, qui entra in gioco l’elettricità.
Come funziona il processo
Alla base di questa innovazione c’è un concetto elettrochimico abbastanza elegante. Si immergono elettrodi in acqua di mare e si applica una corrente elettrica a bassa intensità. L’acqua si scinde, liberando idrogeno e ioni idrossido. Mentre questo accade, si inietta CO₂ nella soluzione: la combinazione cambia l’equilibrio chimico dell’acqua, portando alla formazione di bicarbonati e, in seguito, alla precipitazione di minerali solidi come carbonato di calcio (CaCO₃) e idrossido di magnesio (Mg(OH)₂).
Il carbonato di calcio, oltre a essere un ottimo “pozzo” di carbonio, è già largamente usato nell’edilizia, mentre l’idrossido di magnesio può catturare ulteriore CO₂ trasformandosi in forme idrate di carbonato di magnesio. Controllando parametri come tensione, corrente, portata e durata dell’iniezione di CO₂, i ricercatori sono riusciti a modulare la composizione, la porosità e la forma dei minerali. Il tutto in reattori modulari a terra, senza interferire direttamente con l’oceano aperto, per non disturbare gli ecosistemi marini.
Risultati e potenzialità
Gli esperimenti hanno mostrato che, in condizioni ottimali, un materiale formato per metà da CaCO₃ e per metà da Mg(OH)₂ può immagazzinare fino a 0,5 tonnellate di CO₂ per ogni tonnellata di prodotto finito. La resa massima si ottiene con portate di CO₂ di circa 0,30 sccm e potenziali intorno a −2,0 VAg/AgCl, parametri che massimizzano la precipitazione senza sprechi energetici. Inoltre, il materiale può essere prodotto sotto forma di polvere fine o di aggregati di diversi centimetri, adatti a sostituire sabbia e ghiaia nel calcestruzzo, senza comprometterne la resistenza meccanica.
L’impatto potenziale sull’industria è significativo: il cemento da solo è responsabile dell’8% delle emissioni globali di CO₂, percentuale che sale se si considera anche il calcestruzzo. Integrare questo processo nei siti costieri di produzione significherebbe catturare CO₂ direttamente alla fonte, trasformandola in un prodotto commercializzabile. Secondo lo studio, migliorando il design dei reattori e ottimizzando i flussi interni, si potrebbe arrivare a una scala industriale competitiva con le tecnologie di cattura del carbonio già in uso, con il vantaggio di fornire un materiale utile e vendibile.