Home » Trending News » Hanno scoperto che per i Romani questo piatto era un leccornia | Se arrivasse in tavola oggi, fuggiremmo a gambe levate

Hanno scoperto che per i Romani questo piatto era un leccornia | Se arrivasse in tavola oggi, fuggiremmo a gambe levate

Illustrazione di un elmo romano (canva FOTO) - buildingcue.it

Illustrazione di un elmo romano (canva FOTO) - buildingcue.it

I romani erano caratterizzati da una cucina molto variegata, e mangiavano di tutto. Anche animali molto particolari.

Nell’antichità la tavola era molto diversa da quella che conosciamo oggi, e ciò che per noi sarebbe poco appetitoso poteva rappresentare una vera prelibatezza. Il gusto era infatti legato alla disponibilità delle risorse.

Per i Greci e i Romani, ad esempio, non era insolito consumare piatti a base di interiora animali, considerati preziosi per il loro valore nutrizionale. Alcuni banchetti comprendevano cervelli, fegati o sanguinacci speziati, cibi che oggi incontrano spesso resistenze.

In molte culture antiche si faceva largo uso di insetti, larve e cavallette, fonte di proteine a basso costo e facilmente reperibili. Anche il pesce fermentato o lasciato a macerare in salse dal sapore pungente, come il celebre garum romano, era ritenuto un condimento di lusso.

Ciò che oggi potrebbe far storcere il naso era allora simbolo di ricchezza e raffinatezza. Questi esempi mostrano come il concetto di “leccornia” non sia universale, ma cambi radicalmente con il tempo, la cultura e le abitudini alimentari.

Un piatto prelibato

Nell’antica Roma la tavola non era solo un luogo dove mangiare, ma uno spazio in cui mostrare ricchezza, potere e raffinatezza. Non a caso, molte abitudini culinarie ci appaiono oggi bizzarre, quasi inverosimili, ma all’epoca erano considerate segno di lusso. I banchetti delle élite, in particolare, servivano più a stupire gli ospiti che a soddisfare la fame.

Tra le tante stranezze gastronomiche che caratterizzavano l’Impero, ce n’era una che colpisce per il suo contrasto con la sensibilità odierna. Un piccolo roditore che oggi associamo ai boschi e alle passeggiate serali era in realtà una vera prelibatezza, tanto ambita da essere non solo cacciata ma addirittura allevata apposta per finire sulle tavole patrizie.

Illustrazione di un piccolo roditore (Canva FOTO) - buildingcue.it
Illustrazione di un piccolo roditore (Canva FOTO) – buildingcue.it

Di cosa si tratta?

Come riportato oda Storicang, si tratta del ghiro, un animaletto minuto e apparentemente insignificante che i Romani trasformarono in simbolo di status sociale. Il suo consumo non era affatto comune, anzi: offrirlo a cena era un segnale chiaro di prestigio. Spesso veniva presentato in modo elaborato, ripieno di carne tritata, frutta secca o miele, in piatti che puntavano tanto all’effetto scenico quanto al sapore. 

Per soddisfare la domanda, nacquero veri e propri sistemi di allevamento. Le cosiddette gliraria erano contenitori di terracotta o pietra, lisci per impedire la fuga e con fori per far circolare l’aria.  E non mancavano versioni meno costose. Chi non poteva permettersi un ghiro “di allevamento” ricorreva a marmotte o scoiattoli, serviti come surrogati. Il gusto non era identico, ma abbastanza simile da ingannare gli invitati meno esperti.