Un’équipe internazionale di ricerca ha condotto per la prima volta un’analisi in situ di estromatoliti di silice nella remota caverna di Imawarì Yeutà in Venezuela
I risultati aprono nuovi orizzonti per la comprensione degli ambienti estremi sulla Terra e offrono strumenti metodologici rivoluzionari per l’esplorazione planetaria, in particolare su Marte.
Nel cuore dell’Auyán-tepuy, una delle formazioni geologiche più antiche e meno accessibili del pianeta, si trova la caverna di Imawarì Yeutà. Questo ambiente sotterraneo, caratterizzato da oscurità quasi totale, ristretto apporto di nutrienti e condizioni geochimiche estreme, ospita strutture rocciose rarissime: gli estromatoliti di silice. Tali formazioni sono costituite da opale ametista, una forma amorfa di silice, tradizionalmente associata alla crescita biologica in ambienti con luce solare. La loro presenza in un contesto completamente buio e isolato rappresenta un vero e proprio enigma per geomicrobiologi e astrobiologi.
Gli estromatoliti sono strutture sedimentarie lamellari formate dall’attività di comunità microbiche, in particolare cianobatteri, che colonizzano superfici e sedimentano strati di minerali. Sulla Terra, gli estromatoliti sono stati fondamentali per comprendere l’evoluzione precoce della vita, ma sono stati osservati soprattutto in contesti superficiali, come lagune poco profonde o acque salate costiere. Trovarli in una caverna tettonicamente antica e chimicamente isolata porta a interrogarsi su meccanismi di formazione alternativi e su possibili analogie con ambienti extraterrestri, in primis Marte.
L’esplorazione della caverna venezuelana è stata compiuta nel 2023 da un team di ricercatori italiani e venezuelani. La spedizione ha installato un campo base all’interno della caverna e ha utilizzato strumenti portatili mai impiegati prima in un contesto così remoto. Tra le tecnologie chiave adottate figurano:
Queste tecnologie, integrate in un approccio sperimentale multidisciplinare, hanno reso possibile una rivoluzione metodologica: analisi microbiologiche e genetiche realizzate direttamente in campo, in tempo reale, eliminando ritardi e rischi di contaminazione.
La presenza di estromatoliti in ambienti superficiali è generalmente collegata a processi biologici guidati da microorganismi fotosintetici. Tuttavia, nel contesto oscuro della caverna di Imawarì Yeutà, la ricerca ha identificato comunità microbiche attive che sembrano partecipare alla formazione e alla crescita delle strutture di silice.
Attraverso analisi in situ è stata:
Questi risultati suggeriscono che i microbi possono guidare, o perlomeno influenzare, la deposizione di silice anche in condizioni di assenza di luce e con ridotti apporti energetici esterni. Tale scoperta amplia significativamente la nostra comprensione delle interazioni geologia-microbiologia, con importanti implicazioni per la ricerca di vita in ambienti estremi sulla Terra e su altri pianeti.
La formazione di strutture silicee in un contesto sotterraneo oscuro implica che i processi biologici non si limitano alle condizioni tradizionali di fotosintesi. Per decenni, gli estromatoliti sono stati studiati come testimonianze antiche della vita primordiale in ambienti illuminati dalla luce solare. Tuttavia, i dati raccolti nella caverna venezuelana mostrano che la biologia può orchestrare depositi minerali complessi anche in ambienti privi di luce.
Questo porta a due importanti considerazioni:
Questi risultati richiedono una revisione delle nostre nozioni classiche su come e dove la vita microbica possa contribuire alla formazione di strutture minerali complesse.
Un elemento chiave della spedizione è stato l’utilizzo di strumenti portatili avanzati per la genomica e la microbiologia. Il sequenziatore MinION, sviluppato da Oxford Nanopore Technologies, ha permesso di ottenere sequenze di DNA direttamente in caverna. Questo approccio elimina la necessità di trasportare materiali biologici in laboratori esterni, con evidenti vantaggi:
La possibilità di ottenere informazioni genetiche “in situ” rappresenta un salto metodologico fondamentale per gli studi in ambienti estremi, dove le condizioni logistiche rendono difficile l’uso di strumentazioni tradizionali.
L’uso della camera iperspettrale ha permesso di analizzare non solo la composizione minerale delle strutture, ma anche di distinguere, in modo non distruttivo, differenti componenti chimici presenti nelle formazioni di silice. Questo tipo di tecnologia è stato integrato con scanner laser 3D, che ha prodotto modelli ad alta risoluzione delle strutture geologiche presenti nella caverna.
Queste tecniche combinate consentono:
Una delle motivazioni principali alla base di questa ricerca è la crescente somiglianza tra alcune strutture osservate in Imawarì Yeutà e quelle individuate su Marte dal rover Spirit. Su Marte, Spirit ha rilevato depositi di silice che, per composizione e morfologia, richiamano gli estromatoliti terrestri. Tuttavia, la natura biologica di tali strutture marziane è ancora oggetto di dibattito.
La ricerca venezuelana fornisce una base metodologica per l’interpretazione di dati planetari:
Gli “**analoghi marziani**” sono ambienti terrestri che riproducono, per certi aspetti, le condizioni ambientali di Marte: scarso apporto di energia, presenza di minerali silicei, stabilità di lungo periodo delle strutture geologiche. Le caverne di tepuy osservate in Venezuela rappresentano un ottimo esempio di ambiente analogico, in cui processi geomicrobiologici possono operare in condizioni analoghe a quelle che potremmo aspettarci su Marte.
Il lavoro pionieristico sviluppato nelle caverne di Imawarì Yeutà ha aperto numerose prospettive di ricerca, tra cui:
La ricerca realizzata nelle caverne venezuelane dimostra come l’integrazione di tecnologie portatili avanzate con metodologie multidisciplinari possa trasformare radicalmente il modo in cui studiamo gli ambienti estremi. Non si tratta solo di un progresso tecnico, ma di una ridefinizione dei limiti dell’analisi biologica e geologica:
Questa frontiera di ricerca non solo arricchisce la nostra comprensione della vita in condizioni estreme sulla Terra, ma apre la strada all’interpretazione scientifica dei dati raccolti da missioni spaziali. L’approccio sviluppato dalla partnership tra università italiane e istituzioni internazionali rappresenta un passo fondamentale verso la convergenza tra Earth science e planetary science, un ponte che collega la geologia, la microbiologia e l’esplorazione dello spazio in una visione integrata e dinamica.