Illustrazione di una strada (Canva FOTO) - buildingcue.it
L’Italia è un paese molto sismico, e negli ultimi decenni sono stati tanti i terremoti che hanno causato morte e distruzione.
Ci sono notti che restano impresse nella memoria collettiva come ferite che non si rimarginano mai del tutto. Una di queste è sicuramente quella del 15 gennaio 1968, quando una scossa di magnitudo 6.4 fece tremare la Sicilia occidentale. A pagarne le conseguenze furono soprattutto le province di Trapani, Agrigento e Palermo, con interi paesi rasi al suolo e migliaia di persone rimaste senza casa. Era solo l’inizio di una lunga serie di eventi sismici che, nel corso degli anni, avrebbero scosso l’Italia da nord a sud.
Il nostro Paese, come ormai si sa, non è nuovo a questi episodi. Si trova in una zona geologicamente molto attiva e, di tanto in tanto, la terra si muove. A volte con piccoli sussulti quasi impercettibili, altre volte con violenza tale da lasciare segni indelebili. La lista dei terremoti distruttivi è lunga, ed è consultabile sul sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), e purtroppo ciascuno di essi ha portato con sé non solo numeri, ma volti, storie, vite spezzate.
Dalle montagne del Friuli al cuore dell’Appennino centrale, dalla pianura padana fino al sud della Sicilia, ogni grande terremoto ha avuto le sue caratteristiche, le sue tempistiche, e spesso anche la sua imprevedibilità. C’è chi ricorda ancora le baracche del Belice, chi ha vissuto la paura dell’Irpinia, chi ha visto crollare la scuola a San Giuliano di Puglia.
In mezzo a tutto questo, la scienza ha fatto passi avanti. I terremoti che un tempo ci coglievano completamente impreparati oggi sono studiati con maggiore precisione. I modelli si sono raffinati, le reti di monitoraggio si sono estese, e l’INGV ha svolto un ruolo centrale nella raccolta e diffusione dei dati.
La notte del 15 gennaio 1968 segna uno dei terremoti più tragici del secondo Novecento: il sisma del Belice. Una prima scossa il 14, poi quella devastante, e infine una lunga coda di repliche fino al 25 gennaio. Le vittime furono 352, con oltre 100.000 sfollati. Gibellina, Salaparuta, Montevago e Poggioreale vennero praticamente cancellate dalla carta geografica.
Nel 1976 toccò al Friuli. Il 6 maggio una scossa di magnitudo 6.5 colpì alle 21:00, con centinaia di vittime. Ma fu solo l’inizio. Settembre portò due nuove forti scosse (5.9 e 6.0), seguite da mesi di repliche. La sismicità sembrava migrare verso est, e poi ancora verso ovest nel 1977. Un fenomeno studiato, ma ancora poco prevedibile. La storia, poi, si ripeté in modo simile in Irpinia nel 1980: come riportato dall’INGV, un sisma di magnitudo 6.9, composto da tre segmenti di faglia attivati in soli 20 secondi, causò oltre 2.900 morti.
In generale la dinamica dei terremoti in Italia mostra spesso una caratteristica ricorrente: le sequenze multiple. L’Appennino centrale ne ha vissute diverse. Nel 1997, la zona di Colfiorito fu colpita da una lunga serie di eventi sismici culminata nel crollo della Basilica di San Francesco ad Assisi e nella morte di 11 persone. Anche nel 2009, con il sisma de L’Aquila (Mw 6.3), si contarono 309 vittime e migliaia di feriti. Una tragedia ancora viva nella memoria collettiva, legata anche a responsabilità politiche e gestionali. Il 2002 fu l’anno del Molise. Due scosse di magnitudo 5.7 a distanza di un giorno (31 ottobre e 1 novembre) provocarono il crollo di una scuola a San Giuliano di Puglia, dove morirono 27 bambini e una maestra. Allo stesso modo, il sisma della Pianura Padana del 2012 fu segnato da due eventi principali (Mw 6.1 e 5.9), uno a est e l’altro nove giorni dopo a ovest.
Ancora più recente, e ben documentata, è la sequenza del 2016–2017 nell’Appennino centrale. Oltre 118.000 eventi registrati, due terremoti principali (Accumoli il 24 agosto, Mw 6.1; Norcia il 30 ottobre, Mw 6.5) e centinaia di repliche, in un’area già fragile e densamente abitata. Guardando indietro, come riportato dall’INGV, anche il terremoto del 1984 (magnitudo 5.9) tra Sora, Isernia e L’Aquila (senza vittime) e quello di Carlentini nel 1990 (Mw 5.7) hanno lasciato il segno, pur con un numero di vittime più contenuto.