Scoperte oltre 1.000 impronte fossili risalenti a circa 83 milioni di anni fa sul Monte Conero
Rappresentazione di impronte fossili
Un’enorme lastra di calcare ritrovata per caso sul Monte Conero mostra oltre 1.000 impronte fossili risalenti a circa 83 milioni di anni fa.
Secondo i ricercatori si tratterebbe di una vera e propria “fuga di massa” di tartarughe marine, probabilmente scatenata da un terremoto. Una scoperta che apre nuovi scenari sulla geologia e sulla paleoecologia del Cretaceo superiore in Italia.
Un ritrovamento fortuito che riscrive la geostoria di un’area costiera italiana
Nel 2019, un gruppo di free climbers in esplorazione sulla parete nord-orientale del Monte Conero, nelle Marche, si è imbattuto in un’enorme lastra di calcare cosparsa da centinaia di impronte fossili a forma di pagaia. Incuriositi, hanno documentato il ritrovamento con alcune fotografie e le hanno mostrate a un geologo locale.
Quelle immagini hanno dato avvio a un’indagine scientifica durata anni, che ha portato alla pubblicazione di uno studio approfondito sulla rivista internazionale Cretaceous Research. I risultati sono sorprendenti: la lastra ospita più di 1.000 impronte fossili su una superficie di oltre 200 m², risalenti al Campaniano inferiore, circa 83–80 milioni di anni fa.
Impronte fossili in ambiente carbonatico marino: un evento eccezionale
L’area oggetto della scoperta si trova sul versante nord-orientale dell’anticlinale del Monte Conero, una struttura geologica nota per le sue formazioni calcaree del Mesozoico. La lastra analizzata fa parte di un affioramento ben conservato e inclinato, visibile solo in alcuni punti specifici, e contiene impronte riconducibili a un improvviso spostamento collettivo di animali marini.
Secondo i ricercatori, tra cui paleontologi e sedimentologi, le impronte sono il risultato di un comportamento di fuga sincronizzata da parte di animali marini – con ogni probabilità tartarughe del genere Protostegidae – innescato da un evento sismico sottomarino. Il terremoto avrebbe anche causato una rapida colata sedimentaria (fluxoturbidite), che ha ricoperto le tracce preservandole in modo eccezionale.
Metodologia multidisciplinare: tra stratigrafia, microscopia e magnetismo
Per inquadrare con precisione il contesto geologico e temporale delle impronte, il team ha eseguito un’indagine stratigrafica completa, combinando:
- Rilevamento stratigrafico dettagliato dei livelli calcarei;
- Microscopia a sezione sottile per l’analisi delle tessiture sedimentarie;
- Studio dei microfossili presenti nei sedimenti;
- Magnetostratigrafia, per correlare le rocce alla scala geocronologica globale.
L’insieme di queste tecniche ha confermato che la lastra appartiene al Campaniano inferiore del Cretaceo, in un periodo geologicamente instabile caratterizzato da forti attività sismiche e cambiamenti climatici marini.
Interpretazione paleoetologica: un branco in fuga
L’aspetto più affascinante di questo ritrovamento è l’interpretazione comportamentale delle tracce. Le oltre 1.000 impronte fossili presentano una disposizione direzionale coerente: gli animali sembrano aver percorso la lastra in modo caotico ma orientato, come in una vera e propria fuga collettiva verso il largo.
L’ipotesi principale è che si sia trattato di una “stampede” sottomarina, ossia una fuga di massa indotta da un evento traumatico improvviso, come un terremoto sottomarino. Tale fenomeno avrebbe agitato il fondale, spaventando gli animali e inducendoli a dirigersi verso acque più profonde.
Ma erano davvero tartarughe marine?
La natura esatta dei tracciatori (trackmakers) è stata al centro di un acceso dibattito. I candidati possibili erano tre:
- Plesiosauri, grandi rettili marini con collo lungo e testa piccola;
- Mosasauri, predatori acquatici simili a varani giganti;
- Tartarughe marine, in particolare quelle della famiglia Protostegidae, oggi estinte.
Tutti e tre gli animali avevano arti natatori capaci di lasciare impronte simili, ma plesiosauri e mosasauri erano perlopiù solitari. Le tartarughe marine, invece, sono note per radunarsi in gruppi numerosi in occasioni particolari – come durante la deposizione delle uova – e quindi risultano i candidati più plausibili.
Inoltre, la forma a pagaia delle impronte, la loro disposizione e le proporzioni rispetto alle dimensioni corporee suggeriscono fortemente una provenienza da tartarughe marine preistoriche.
Un contesto ambientale modellato da sedimenti e terremoti
L’interpretazione sedimentologica dell’evento si basa sulla presenza di calciturbititi, depositi sedimentari caratterizzati da grana fine e stratificazione caotica, tipici delle correnti torbide sottomarine.
Secondo il modello ricostruttivo proposto dai ricercatori, il sisma avrebbe:
- Scatenato un movimento sismico sul bordo della piattaforma carbonatica;
- Provocato l’improvvisa discesa verso il basso di masse sedimentarie instabili;
- Attivato una corrente gravitativa che ha sepolto istantaneamente le tracce lasciate dagli animali;
- Preservato le impronte grazie a una rapida copertura anossica che ha impedito l’erosione e la bioturbazione.
Questa dinamica deposizionale spiega l’eccezionale stato di conservazione delle tracce, nonostante l’area sia stata successivamente coinvolta in processi tettonici complessi.
Monte Conero: da affioramento carsico a archivio geologico del Cretaceo
La zona del Monte Conero è nota per la sua geologia affascinante: la formazione Scaglia Rossa, i calcari nummulitici e le sequenze pelagiche rendono il promontorio una vera e propria finestra geologica sull’oceano del passato.
Con questo nuovo ritrovamento, il Monte Conero si afferma anche come importante sito paleoetologico, in grado di raccontare eventi episodici estremamente rari come le fughe di massa animali nel Mesozoico.
Le implicazioni sono molteplici:
- Nuove ipotesi sulla composizione faunistica del Mediterraneo cretacico;
- Dati inediti su comportamenti collettivi di specie marine preistoriche;
- Un caso di studio interdisciplinare per geologi, paleontologi, ingegneri e sedimentologi.
Implicazioni per la geotecnica e l’ingegneria del paesaggio
Anche in ambito building e geotecnico, scoperte come questa rivestono un’importanza significativa. Le informazioni ricavabili da un sito come quello del Monte Conero includono:
- Comprensione più approfondita dei meccanismi di instabilità dei versanti carbonatici;
- Indicazioni sulla stratigrafia sismogenica e sui depositi associati ai terremoti antichi;
- Dati per la modellazione del rischio geologico in aree costiere e montane;
- Stimoli per la conservazione geologica come parte integrante del paesaggio culturale e ambientale.
Per i professionisti dell’ingegneria ambientale e della pianificazione territoriale, l’interpretazione di eventi passati come questo può fornire un riferimento per comprendere meglio la resilienza e la vulnerabilità di territori ancora oggi soggetti a frane, terremoti e fenomeni carsici.
Conservazione e valorizzazione del sito
Il sito della scoperta è attualmente oggetto di studio e monitoraggio, ma potrebbero aprirsi nuove prospettive per la sua valorizzazione. Tra le opzioni in esame:
- Creazione di un geo-parco tematico legato alla paleontologia e alla geologia del Cretaceo;
- Allestimento di percorsi didattici per scuole e università;
- Collaborazioni con enti locali per garantire accesso controllato e conservazione;
- Digitalizzazione del sito tramite scansione 3D e modelli virtuali per la ricerca e la divulgazione.
Il ritrovamento delle impronte fossili sul Monte Conero rappresenta una straordinaria testimonianza di un evento geologico e biologico risalente a oltre 80 milioni di anni fa. Un documento naturale inciso nella roccia, che oggi offre agli scienziati una finestra unica sul comportamento collettivo degli animali marini preistorici e sui processi sedimentari legati ai terremoti.
Ma è anche un potente promemoria per l’ingegneria, l’urbanistica e la progettazione del paesaggio: ogni territorio ha una storia lunga e complessa, e comprenderla è il primo passo per costruire in modo sostenibile e resiliente.
