VIETATI i pagamenti con carte, adesso si fa dietrofront | È inutile che la cacci in negozio: non se la prendono più

POS e disguidi (Pixabay foto) - www.buildingcue.it
Pagamenti elettronici sotto accusa: regole chiare, ma l’applicazione crea confusione in questo particolare caso.
In un’Italia sempre più digitale, almeno sulla carta, anche i pagamenti stanno cercando di tenere il passo. Ma non sempre ci riescono. O meglio: non tutti i settori riescono (o vogliono) adattarsi alle nuove regole. Il risultato? Situazioni in cui tirare fuori la carta per pagare può trasformarsi in un mezzo incidente diplomatico, tra clienti spazientiti e commercianti esasperati.
Non è solo questione di tecnologia. E neanche solo di abitudini dure a morire. Qui si parla proprio di una frizione continua tra norme statali, costi di gestione e realtà economiche che non fanno sconti a nessuno. E quando in mezzo ci finiscono anche servizi che dipendono dallo Stato… le cose si complicano in fretta.
C’è poi un tema che torna sempre: quei pagamenti che, pur essendo regolari, diventano un peso per chi li riceve. Non tanto per il cliente, quanto per chi deve gestirli. E così, tra una commissione bancaria e l’altra, in certi casi si preferisce evitare del tutto.
A questo punto, è chiaro che dietro ogni “non si può pagare con la carta” si nasconde un micro-mondo fatto di numeri, vincoli, margini strettissimi e un bel po’ di frustrazione. E le parti coinvolte sono parecchie: dai cittadini, ai commercianti, fino alle istituzioni e alle associazioni di categoria. Tutti a tirare dalla propria parte, ovviamente.
Tra vincoli di legge e conti che non tornano
Dal 30 giugno 2022, la legge dice chiaro e tondo che bisogna accettare i pagamenti elettronici. Senza eccezioni, per qualsiasi cifra. Ma… quando si parla di marche da bollo, molti tabaccai fanno orecchie da mercante. E non per capriccio. Il problema è che, su certe vendite, i margini sono talmente risicati che accettare la carta vuol dire rimetterci. Una marca da bollo da 2 euro? Lascia in cassa pochi centesimi — meno di quanto costa la commissione del POS.
In certe città, la cosa è esplosa, come riporta impresamia.com. Tipo a Pordenone: un cliente cerca di pagare col bancomat, il tabaccaio dice no, parte la segnalazione alla Guardia di Finanza, e alla fine scatta anche una multa. Da lì si è riaccesa tutta la polemica, con la Federazione Italiana Tabaccai che ha chiesto una deroga alla norma, sostenendo che, vendendo marche da bollo, agiscono come concessionari dello Stato — quindi il discorso sarebbe un po’ diverso, secondo loro.
E quando lo Stato ti chiede di perderci?
Il punto, per i tabaccai, è semplice: non si può obbligare qualcuno a fare una cosa che gli fa perdere soldi. E visto che le vendite di marche da bollo sono quasi un servizio pubblico, sarebbe anche giusto riconoscerne la particolarità. Per questo la FIT ha scritto direttamente al presidente della Repubblica e, nel frattempo, ha presentato un esposto alla Procura. Un bel guaio.
La legge, intanto, è chiara: chi rifiuta il POS rischia 30 euro di multa più il 4% dell’importo. Però — e qui c’è il trucco — molti casi finiscono nel nulla, a meno che il cliente non si prenda la briga di fare una denuncia. Una cosa che, diciamolo, pochi fanno. Intanto il dibattito resta acceso e nessuno sembra voler cedere: tra chi chiede più flessibilità e chi spinge per il rispetto totale delle regole, la questione è tutt’altro che chiusa.