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Ora conosciamo anche la voce dei Faraoni | Questa mummia torna a parlare dopo 3000 anni

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Voce dei faraoni (Canva foto) - www.buildingcue.it

Un sacerdote egizio di tremila anni fa riesce, per la prima volta, a “farsi sentire” grazie alla scienza moderna.

Tra maschere funerarie dorate, sarcofagi intagliati e papiri ingialliti dal tempo, si insinua ora un elemento nuovo e inatteso: il suono. Non un suono qualsiasi, ma una voce.

Finora, il contatto con il mondo dell’antico Egitto si era limitato a ciò che poteva essere visto, toccato o letto. Le voci degli antichi, letteralmente, non avevano mai trovato spazio. Le statue restano mute, le iscrizioni raccontano ma non parlano. Tuttavia, negli ultimi anni, la tecnologia ha aperto spiragli sempre più audaci nell’interazione con il patrimonio umano, trasformando l’impossibile in sperimentazione concreta.

In questo contesto, emergono interrogativi affascinanti. È possibile ridare voce a chi non parla più da millenni? Le implicazioni non sono solo scientifiche, ma anche simboliche: riavvicinarsi a un essere umano vissuto tremila anni fa è un’esperienza che rompe le barriere del tempo.

Non mancano però riflessioni critiche. L’uso di tecnologie avanzate per “resuscitare” tratti identitari del passato suscita perplessità. Si tratta davvero di una ricostruzione autentica o solo di una suggestione plausibile? Come sottolinea l’egittologa Kara Cooney, ogni tentativo di ricreare voci o volti antichi può celare bias culturali o interpretazioni soggettive. Tuttavia, la tensione tra scienza e immaginazione resta parte del fascino di questi esperimenti.

Un approccio mai tentato prima

È in questo scenario che si colloca l’esperimento condotto da un team britannico, che ha utilizzato scansioni CT e stampa 3D per ricreare il tratto vocale di Nesyamun, un sacerdote egizio vissuto oltre 3.000 anni fa durante il regno di Ramses XI. Come riporta Everyeye, il progetto è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports e ha portato alla produzione di un singolo suono vocale: una sorta di gemito, simile a un “meh” privo della m iniziale, o un suono tra “bed” e “bad”.

Gli scienziati hanno collegato la replica fisica del tratto vocale a un sintetizzatore chiamato Vocal Tract Organ, riuscendo così a generare una voce ipotetica che il sacerdote avrebbe potuto emettere se fosse tornato in vita nella sua bara. Secondo il fonetista David Howard, si tratta di un esperimento unico, limitato a un solo fonema a causa della postura supina della mummia e della perdita di tessuti molli come la lingua.

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Statua di faraone (Canva foto) – www.buildingcue.it

Una voce che sfida il tempo

La mummia di Nesyamun, conservata al Leeds City Museum, porta un’iscrizione in cui si esprime il desiderio di “parlare agli dèi anche nell’aldilà”. Oggi, grazie alla tecnologia, quel desiderio trova una risposta sorprendente.

Il suono prodotto, seppur semplice, ha un peso simbolico enorme: rappresenta un ponte tra passato e presente, tra il silenzio della morte e la vitalità della scienza. Come ha dichiarato l’archeologo John Schofield, “non c’è nulla di più personale del suono di una voce”. In questo frammento vocale si cela dunque qualcosa di profondo: la volontà dell’uomo di essere ricordato, e quella della scienza di ascoltare.